Trama |
Leo ha sedici anni, poca voglia di studiare e tanta di dichiararsi a Beatrice, la ragazza dai capelli rossi che frequenta il suo liceo. Perdutamente innamorato, prova in tutti i modi ad avvicinarla ma ogni volta non sembra mai quella buona. Esitante e maldestro, Leo chiede aiuto all’amico Niko e all’amica Silvia, invaghita di lui dalle medie e da una gita a Venezia. Inciampato dentro a un cinema e a un passo da lei, il ragazzo riesce finalmente a strapparle la promessa di rivedersi presto a scuola ma in aula Beatrice non tornerà più perché la leucemia le ha avvelenato il sangue e compromesso il futuro. Sconvolto ma risoluto, Leo decide di prendersi cura di lei e di accompagnarla nella malattia, allacciando con Beatrice una tenera amicizia che contemplerà il buio e la luce. Tra una partita di calcetto e un brutto voto da riparare, Leo imparerà la vita, la morte e l’amore.
Non è la prima volta che Giacomo Campiotti gira un film carico di morte che parla della vita. Otto anni fa con Mai + come prima aveva trattato la perdita corredandola a un periodo dell’esistenza qual è l’adolescenza, piena di novità e trasformazione. Allo stesso modo Bianca come il latte, rossa come il sangue è un percorso di formazione che affronta la crescita attraverso la morte. Al centro del film, trasposizione del romanzo omonimo di Alessandro d’Avenia, un adolescente che vede il mondo bianco e rosso, incosciente delle sfumature. Bianca è la paura della responsabilità da scansare e scaricare sui genitori e i professori, rosso è il desiderio di essere visto (e amato) come Charlie Brown dalla ragazza dai capelli rossi.
Alla maniera della Beatrice dantesca, di cui porta il nome e la grazia, la protagonista muove Leo a una vita nuova. Beatrice è iter a Deum, cammino verso dio, corsa (a perdifiato) verso ‘fin’. Perché dio non è morto come canta Guccini o ‘corregge’ il T9, software di scrittura facilitata per sms che converte dio in ‘fin’. Se è a dio che si affida Beatrice attraverso un diario, è a fin che rivolge le sue preghiere Leo chiedendo più tempo per quell’amore sbocciato tra attivismo e passività, tra energia senza sosta e inerzia, tra impazienza e timore di cambiare, tra la smania di prendere in mano la propria vita e l’inquietudine di diventare più visibili e ingombranti.
Bianca come il latte, rossa come il sangue ribadisce la sensibilità di Campiotti per l’adolescenza intesa come periodo di lutto, perché include un sentimento di vivo dolore per la fine dell’infanzia e del senso d’identità riparato e narcisistico. Ma a Leo spetterà in sorte un dolore più grande di quello di vedere scomparire il bambino che era prima. La sua ribellione passerà per la morte di Beatrice e approderà a un’immagine nuova di sé, a un’identità e a un corpo altri, in un mondo finalmente policromo. Leo farà esperienza della finitudine e frequenterà il dolore trasformandolo in amore dentro un film semplice come sanno essere le storie vere, quelle che nascono dall’urgenza dell’autenticità. Adolescenza, lutto, solidarietà che muove il desiderio comune di guarigione non trovano però nella messa in scena una commisurata corrispondenza, sfumando nella convenzionalità la sensibilità e la spontaneità che annunciavano.
Bianca come il latte, rossa come il sangue finisce per arrendersi agli schematismi di una narrazione dal respiro irrimediabilmente corto e prevedibile, che ‘sentenzia’ attraverso le battute del professor Luca Argentero e della paziente Gaia Weiss. Su tutto e tutti i picchi emotivi governano dispotiche le note dei Modà. Ridondanti e ‘in levare’ suturano il film, riempiendo insostenibilmente ogni fotogramma, eccedendo il bel sorriso di Filippo Scicchitano e gravando l’irriducibile leggerezza dell’adolescenza.
|
|
|
|
|
|
|