Trama |
Per festeggiare il 118° compleanno della figlia Mavis, Dracula ha invitato nel suo hotel di lusso gli amici di sempre, da Frankenstein al lupo mannaro, e tanti altri mostri ancora, con famiglia al seguito, per un party indimenticabile. Dentro la fortezza inespugnabile, che il conte ha eretto in seguito alla tragedia che ha segnato per sempre la sua vita, ogni sorta di creatura pelosa o gelatinosa, gigantesca o piena di teste, è sicura di poter trascorrere un weekend pacifico, lontano dal pericolo dei pericoli: l’incontro con un umano. Così, quando il ventunenne Jonathan, zaino in spalla, varca inaspettatamente la porta girevole della hall, per evitare il panico tra i suoi ospiti, Dracula non può far altro che mascherarlo da mostro e cercare di cacciarlo il prima possibile. Peccato che Mavis provi per lui una simpatia istantanea e ricambiata.
Tartakovsky arriva al primo lungometraggio con un’esperienza che va dal televisivo (elegantissimo) Samurai Jack al pluripremiato Star Wars: la guerra dei cloni e non permette certo di parlare di esordio. Con Hotel Transylvania l’intento, superato a pieni voti, sembra quello di voler fare del film una festa e dunque un evento da ricordare. Sfruttando l’unità di tempo di una notte e la circostanza narrativa del compleanno della maturità della vampirella protagonista, il regista e la sua squadra inanellano una serie pirotecnica di sequenze ad alto tasso di energia inventiva senza mai perdere il sentiero del racconto principale, ovvero la storia di un passaggio di amorose consegne tra un padre devoto e iperprotettivo e un giovane strambo ma buono, proprio come i mostri del film.
Non sarebbe dispiaciuto un lavoro sui personaggi che offrisse ad ognuno almeno un piccolo momento biografico, poiché, dall’uomo invisibile alla mummia alla piccola licantropa, la materia è così ispirata e bella che la si vorrebbe vedere espansa, ma la scelta di campo è chiara e coerente: tutto concorre ad allestire un grande Hellzapoppin’ dove le singole partecipazioni non hanno diritto a momenti di gloria personale, dove il lavoro sui personaggi è soprattutto un lavoro sul corpo (sulla sua scomposizione in chiave slapstick) e la costruzione dell’inquadratura è principalmente corale, basata sulla giustapposizione di proporzioni incongrue e divertenti.
Se il ribaltamento tra mostri ricchi di umanità e umani creduti mostruosi non è più una novità, dopo il gioiello di casa Pixar e i tanti epigoni, il romanticismo sincero di questo film è invece una nota piuttosto inesplorata e più che mai indovinata.
Buono anche il doppiaggio, sia per la prova di Bisio e Capotondi nel dar voce a Dracula e pupilla, sia per la traduzione, che conserva lo smalto della battute originali e delle canzoni.
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