Trama |
Gemma, dopo molti anni di assenza torna a Sarajevo, portando con sé il figlio Pietro. L’occasione è l’invito che le ha fatto Gojko, poeta estroverso e un tempo sua guida in Bosnia, per una mostra fotografica sulla guerra. Gemma proprio in Bosnia, prima dell’inizio del conflitto, aveva conosciuto Diego per il quale aveva mandato all’aria il proprio matrimonio. Da Diego però Gemma, per un suo difetto fisico, non aveva potuto avere figli. Ma il desiderio era così forte da spingerla ad accettare che il marito procreasse con un’altra donna disposta poi a cedere il neonato.
Il quarto film come regista di Sergio Castellitto è così complesso sul piano della scrittura che potremmo definirlo un film matrioska. Perché racchiude, una dentro l’altra, storie diverse ma aderenti a un’unica forma di base. C’è una storia di scoperta di un mondo ignoto (Gemma con Gojko). C’è l’amore sostenuto da una passione travolgente (Gemma e Diego). C’è il dramma della sterilità. C’è una guerra che devasta le coscienze …. e potremmo continuare.
Il regista Castellitto sa come gestire questo coacervo di sentimenti e pulsioni irrazionali. Lo sceneggiatore Castellitto (insieme all’autrice del libro nonché consorte Margaret Mazzantini) meno. Perché a situazioni di grande forza espressiva se ne giustappongono altre che, se hanno una loro logica e forza sulle pagine di un romanzo, le diluiscono in retorica una volta portate sullo schermo. Se ci si aggiungono alcune scelte musicali perlomeno discutibili (a partire da un’”Ave Maria” di Schubert che si sovrappone al contesto senza aderirvi) si comprende come l’operazione (in cui si sente comunque l’onestà intellettuale e la partecipazione di tutti, Castellitto in primis) sia riuscita solo in parte.
Ci vorrebbe Buster Keaton per raccontare certe storie si dice nel film e l’icona del grande attore/regista viene anche direttamente evocata. Castellitto da questo punto di vista raggiunge l’obiettivo che sembra essersi prefisso: raccontare una storia di grandi passioni e grande crudeltà a ciglio asciutto senza voler spingere sul pedale della commozione gratuita. Si lascia però indurre in tentazione non solo, come si è detto, dalla pagina scritta ma anche da un amore paterno in questa occasione mal riposto. Perché Pietro Castellitto (suo figlio) è un bravo attore che sa dare una buona dose di naturalezza al suo personaggio. Però inserito in un film in cui suo padre si ritaglia il ruolo del genitore adottivo gli assomiglia fisiognomicamente troppo finendo per risultare fuori posto in una vicenda in cui paternità e maternità sono così determinanti. Non basta far dire a Giuliano “I figli maschi assomigliano sempre alle madri” per risolvere la questione. In questo caso non è andata così.
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